Emad Baghi, 48 anni, uno dei più celebri difensori dei diritti umani in Iran, è stato arrestato ieri mattina
Il brutale arresto del paladino dei diritti umani
CLAUDIO GALLO
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200912articoli/50772girata.asp
TEHERAN
Poco prima delle 7 di mattina, un gruppo di energumeni in borghese, con le pistole spianate bussa alla porta di Emad Baghi, celebre attivista iraniano per i diritti civili. Quattro di loro piombano in casa, altri stanno sul pianerottolo: lei è in arresto dicono al padrone di casa.
Sono protervi, bestiali. Si piazzano nell’appartamento insultando la moglie e le figlie di Emad. Frugano nei cassetti e nel computer, buttano all’aria libri e quaderni. Tra le altre cose, lo accusano per una sua lunga intervista al Grand’Ayatollah Montazeri trasmessa dalla Bbc persiana qualche giorno fa. Il fratello della moglie protesta e viene selvaggiamente picchiato. Minacciano di uccidere anche lui. Forse è bene ricordare che Baghi è un pio musulmano, ha studiato a Qom con Montazeri, e quei gorilla dovrebbero essere il volto della giustizia islamica.
Prima di essere strattonato via legge un passo del Corano che insegna a essere paziente e tollerante nelle avversità. Uno sgherro commenta: «La tua vita sarà troppo breve perché tu possa vedere il futuro». Così lo portano via, senza dire dove. Uno delle centinaia arrestati ieri. A 48 anni, Emad Baghi è già stato due volte nel terribile carcere di Evin a Teheran, in tutto per sei anni, sempre per reati di opinione. La seconda volta, nell’ottobre del 2007, era accusato, tra l’altro, di essere stato invitato a una conferenza negli Emirati a cui non partecipò. Aveva appena vinto il premio Martin Ennals per i Diritti Umani ma gli era stato impedito di andarlo a ritirare a Ginevra, così come nel 2003 non potè andare a Parigi per ritirare un analogo riconoscimento dalle mani dell’allora premier Villepin.
Alto, la barba già argentata, gli occhi scuri e profondi, è nato in Iraq dove il padre, un imprenditore oppositore dello Scià, aveva dovuto rifugiarsi. Quando la famiglia tornò in patria si ritrovò i beni confiscati e dovette trasferirsi nei sobborghi poveri di Teheran. Si laureò in Sociologia a Teheran e in Teologia a Qom, sotto la guida di Montazeri. Fu in prima fila nella rivoluzione del 1979 con il suo gruppo «Maysam». Scrittore, ha diretto e fondato numerose testate nell’era riformista del presidente Khatami, tutte rigorosamente chiuse dal regime. Ha pubblicato una ventina di libri, per la maggior parte su democrazia e religione, sui diritti umani e contro la pena di morte. Sei suoi titoli sono tutt’ora proibiti in Iran.
Professore universitario, fu cacciato dalla cattedra perché le lezioni erano «troppo aperte». Condannato a oltre 7 anni di carcere per sue idee, ne sconta solo tre ma quando esce fonda un’associazione per difendere i diritti dei detenuti. La sua linea è: nessuna distinzione tra i diritti di detenuti politici e comuni. La figlia maggiore sposa Mohammad Gouchani, il più giovane direttore di giornali del Paese, anche lui arrestato (e poi rilasciato qualche mese dopo su cauzione) nelle giornate burrascose del giugno scorso. In un articolo inviato per «La Stampa» rispecchiava le sue idee parlando del pensiero del maestro Montazeri (Grazie a Hamid Ziarati per la traduzione): «La libertà non è una conquista per i sostenitori del governo bensì un diritto inalienabile degli oppositori. I diritti umani vanno scissi dall’ideologia individuale e dalla fede di ciascun individuo».
Ricordava che Montazeri nel suo ultimo libro «condannò di fatto la pena di morte in quanto non prevista dall’Islam». Paladino di un Islam umanista, Baghi si trova ora nelle grinfie di un regime islamico che crede solo nella forza. Disse Montazeri ai basiji poco prima di morire: siete sicuri di servire Dio e non invece il diavolo?».