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Il nucleare? Iran sospeso fra dubbi e paure


il manifesto – 16 Febbraio 2006
Parlando con la gente di Tehran comincia ad affiorare la parola «guerra». Molti riconoscono il «diritto» a sviluppare l’energia atomica ma dubitano che sia una priorità per il paese
MARINA FORTI
INVIATA A TEHRAN
La parola «guerra» ha cominciato a circolare. Compare a sorpresa nelle conversazioni più varie, «non vorrano mica portarci alla guerra», «nessuno vuole una guerra». L’incertezza affiora. Su uno dei quotidiani più letti della capitale iraniana, un noto economista discute se il paese potrebbe o meno resistere a sanzioni commerciali (secondo lui no). I discorsi ufficiali ostentano sicurezza: l’Iran ha bisogno dell’energia nucleare e ha diritto a produrla, anche se «i paesi occidentali vogliono negarci questo diritto». Lo dice il presidente iraniano Mahmoud Ahmadi Nejad in ogni suo intervento, lo ripetono fino all’ossessione cartelli e slogans in ogni occasione ufficiale: «L’energia nucleare pacifica è un nostro diritto». Poche voci dissentono. Eppure molti sono preoccupati, in Iran. «Dobbiamo opporci alla guerra», dice Emad-eddin Baghi nel suo ufficio, in una modesta palazzina della Tehran settentrionale: era la sede di un quotidiano che è stato chiuso, nel 2000 (lui è finito in galera per tre anni con accuse di attentato alla sicurezza dello stato), poi di una casa editrice che non ha mai ottenuto per i suoi libri l’imprimatur del ministero «della cultura e della guida islamica», poi di un nuovo quotidiano che ha avuto l’onore di arrivare nelle edicole solo pochi giorni, alla fine del 2004, prima di essere chiuso d’autorità: la stampa indipendente resta il principale terreno di scontro politico e simbolico, in Iran. Insomma: Baghi è uno degli intellettuali musulmani più rispettati tra coloro che hanno sostenuto i tentativi di riforma in Iran ed è un attivista sociale, fondatore di un’associazione per la difesa dei detenuti («non i prigionieri politici in particolare ma tutti i detenuti, i comuni, per il diritto alla difesa e a un trattamento dignitoso»).
«Dobbiamo opporci al governo sostenendo le ragioni della pace», dice, e si riferisce alla questione nucleare: il governo ha creato un clima di guerra, riassume, ha condotto la sua politica in modo tale «da portarci verso lo scontro con la comunità internazionale. Anzi, se finora non siamo arrivati alla guerra è perché la comunità internazionale ha avuto molta pazienza con l’Iran». Obietto: da fuori abbiamo capito che il nucleare è una questione nazionale e ha il consenso generale. «Bisogna chiarire», risponde Baghi: «Sì, l’energia nucleare pacifica è un diritto nostro come di ogni altro paese che rispetta il Trattato di non proliferazione. La domanda è: ci servono davvero quelle centrali, a ogni costo? Il messaggio che il governo manda agli iraniani è “ci vogliono negare un diritto”, ma questa è una visione distorta delle cose: nessuna potenza occidentale ha mai detto che non dobbiamo costruire centrali elettronucleari. Il punto è che la comunità internazionale sospetta delle nostre intenzioni. Io credo che l’energia nucleare non sia una nostra priorità, e di sicuro non a costo di arrivare allo scontro con il mondo intero. Abbiamo davvero bisogno di energia nucleare come prima cosa? E’ discutibile, mentre è certo che abbiamo bisogno di riguadagnare la fiducia internazionale. Lo stato, invece di spendere tanta energia per quelle centrali, dovrebbe investire nel migliorare le nostre relazioni internazionali».
«Solo un sistema democratico può riconquistare la fiducia del mondo», dice Abdollah Momeni in un coffee-shop del centro della città, affollato di studentesse con foulard colorati sui soprabitini neri e di giovanissime coppie. Momeni è uno dei dirigenti dell’«Ufficio per il consolidamento dell’unità», la più importante organizzazione studentesca iraniana, che nel `97 aveva appoggiato con passione il presidente Mohammad Khatami e il suo tentativo di riforme democratiche (e per questo ha subìto pestaggi e repressione) ma l’anno scorso ha fatto appello a boicottare le elezioni presidenziali, argomentando che democratizzare la Repubblica islamica «dal suo interno» è impossibile e votare «serve solo a legittimare il sistema».
«Ci hanno martellato di propaganda», sbuffa Momeni. «Con lo slogan “l’energia nucleare è un nostro diritto” ci hanno convinto che il mondo voglia toglierci qualcosa di vitale». L’energia nucleare «è un nostro diritto, va bene: ma abbiamo ben altri diritti calpestati dal sistema. Il nucleare serve soprattutto allo stato. Vogliono la tecnologia atomica per poter fare mostra di potenza, in primo luogo verso i cittadini iraniani».
Anche Momeni tiene a chiarire: è vero che c’è una sorta di «apartheid» internazionale, che le grandi potenze vogliono avere il controllo su chi accede alla tecnologia nucleare e fanno pressione sull’Iran «mentre ci sono paesi che neppure hanno firmato il Trattato di non proliferazione conducono le loro attività nucleari senza subire nessuna conseguenza». Ma aggiunge: «La demagogia sul diritto negato serve a proporre ala gente semplice un nemico esterni verso cui incanalare ogni risentimento. La mia opinione è che l’interesse nazionale è ristabilire un clima di fiducia e collaborazione internazionale, per cui sarebbe meglio tornare a sospendere la ricerca sul combustibile nucleare».
Perché queste opinioni non emergono? «Anch’io mi sono chiesto perché i riformisti tacciono», dice tagliente Momeni: «Il fatto è che lo stato ne ha fatto una questione di sicurezza nazionale al punto che la critica non è ammessa, nessun giornale si azzarderebbe a pubblicare opinioni diverse da quella ufficiale». Nell’estremo nord di Tehran, in una grande casa tradizionale proprio accanto a uno dei tanti ex palazzi dello Shah, l’ex presidente del parlamento Mehdi Karroubi protesta: «Non è che siamo zitti, anche se è vero che le nostre voci critiche forse sono in sordina». Karroubi appartiene alla nomenklatura della repubblica islamica, anche se ora la sua corrente è all’opposizione rispetto al governo del presidente Ahmadi-Nejad. Pochi mesi fa ha fondato un nuovo partito («partito della fiducia nazionale») che definisce popolare e riformista ma non opposto al sistema della Repubblica islamica; ha fondato un giornale e ha tentato di lanciare un canale televisivo, scontrandosi al problema che tanti hanno conosciuto negli anni scorsi: non ha ottenuto l’autorizzazione («ma è un divieto illegale», protesta). «La nostra opinione? La tecnologia nucleare è un diritto di ogni nazione, e su questo non possiamo cedere. Ma d’altra parte dobbiamo rimuovere i motivi di sfiducia nei nostri confronti e per questo dobbiamo continuare a dialogare. Sì, resta spazio di negoziato, e dobbiamo tenerlo aperto. Ma forse ha ragione, in questo nuovo clima non lo abbiamo detto abbastanza forte».

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